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Seduto sul piĆ¹ scassato o il piĆ¹ comodo sedile, quello che mi importa ĆØ essere al lato di un finestrino di un bus o di un treno, uno dei posti dove piĆ¹ mi piace stare.

Ci si accomoda, si dĆ  un’occhiata a chi sta attorno, a volte un sorriso a chi ĆØ seduto di fianco e quando il motore si accende e si iniziano a percorrere i chilometri di strada lo spettacolo inizia.

Il mondo scorre affascinante fuori dal vetro e osservarlo ĆØ una meraviglia.

Le architetture, i verdi paesaggi e quelli desolati, la gente e i loro vestiti e il loro via vai frenetico, i mezzi di trasporto a volte davvero bizzarri e tutto quello che ci impilano sopra, le stradine che portano chissĆ  dove, i cantieri e la gente mascherata (per proteggersi dal sole e dalla polvere) che ci lavora per costruire intere cittĆ  dal nulla, i sorpassi assurdi in curve cieche e gli incidenti evitati per concessione di una delle divinitĆ  alle quali loro credono, i negozi che vendono e riparano di tutto, i pochi centimetri che dividono la ruota del bus dallo strapiombo su una sterrata strada dell’Himalaya, le anziane signore che trasportano in gerle sulla schiena i prodotti dei loro raccolti e dei loro villaggi verso il mercato locale, gli studenti che escono da scuola in uniforme, sorridenti sulle loro bici nelle strade impolverate. Gli uomini d’affari che escono dalle loro gigantesche lussuose macchine ed entrano seri nei ristoranti per una riunione di lavoro, i bambini che corrono sul marciapiede…scalzi e felici.

Indosso gli auricolari ed inizio ad ascoltare un po’ di musica: un album che ascoltavo quando vivevo con una ragazza dallo sguardo come il fuoco.

Il presente, fuori dal finestrino, inizia a mischiarsi al passato dei ricordi.

Vedo il sorriso di lei, la luce che c’era nella stanza, cosa mi stava dicendo. Il televisore era acceso e nell’appartamento faceva caldo, ad un tratto il rumore del ventilatore era l’unico suono che si sentiva, come in lontananza, come rallentato. Ricordo ancora il colore del cielo in quel momento, ricordo il calore della tua mano nella mia, ricordo il suono del tuo respiro vicino al mio, l’attimo si ĆØ congelato fissando nell’infinito dei tuoi occhi.

Non ci siamo mai promessi nulla, non ci siamo mai detti chi eravamo.

Ricordo il giorno che ho spinto in malo modo le mie quattro cose nello zaino e me ne sono andato, salutandoti come un’estranea.

Il fumo del banchetto di una signora che sta cucinando patate dolci per strada circonda i clienti che stanno aspettando di mangiare la delizia appena preparata.

Una delle cose che mi incantano di piĆ¹ ĆØ scovare gli sguardi della gente, seduta su uno scalino o appoggiata ad un muro, come bloccati nei loro pensieri che trasportano loro e me verso immagini lontane. C’ĆØ qualcosa di davvero profondo in quei momenti.

I riflessi del cielo nelle pozzanghere di un acquazzone appena finito vengono cancellati dalla ruota di una bicicletta che passa.

Le strade che passano, i cieli e i mari coi loro colori pieni di sfumature, la gente ovunque e tu non ci sei piĆ¹.


Luca Sartor

Esploratore indipendente, innamorato dei paesi e delle culture asiatiche. In viaggio da sempre, vivo da anni nel continente asiatico. Seguitemi su INSTAGRAM @lucadeluchis